The Fooders
The fooders: dentro e fuori la cucina
La nostra è una cucina 3.0. E che vuol dire, penserete voi. Ci piace definirla una cucina open source: disponibile alla collaborazione con chiunque abbia un’idea valida da realizzare, purché dia importanza al cibo e non lo utilizzi come mero strumento per arrivare ad uno scopo. Per noi è naturale collaborare con realtà che non hanno propriamente a che fare con il cibo. Che si tratti di ingredienti o di culture, di campioni o di pezzi, il talento a volte sta anche nel saper selezionare e mixare elementi diversi: da qui la scelta di lavorare accanto a dj, scrittori e musicisti, ottica nella quale possono nascere infinite collaborazioni.
Spesso ci chiedono di parlare di noi, “com’è la vostra cucina? Tradizionale? Innovativa?” Spesso rispondiamo parlando d’altro.
Il progetto The Fooders nasce dall’esigenza di far coesistere realtà differenti tra loro. Cosa significa? Il nostro approccio al cibo è totale. Diamo per scontato che il risultato finale sia buono da mangiare. Ma gli aspetti importanti sono anche altri.
FUORI DALLA CUCINA
Un qualsiasi prodotto messo in vendita, anche il cibo, a volte richiede una progettazione complessa sotto vari aspetti. La progettazione: forma, dimensione, consistenza, colore, peso. La produzione vera e propria: studio della ricetta, approvvigionamento, calcolo del costo della materia prima e dei costi di produzione, preparazione, cottura. E ancora il packaging: un involucro che dovrà essere studiato in maniera meticolosa, e che servirà poi a presentare il prodotto, a spiegarlo al suo fruitore.
Tutti questi aspetti vengono curati da noi in prima persona, senza mai delegare niente a terzi. La differenza è anche in questo: hai l’idea, la sviluppi, la perfezioni e sei tu stesso a completarla.
Questo dà forza al prodotto finale. In questo modo è il prodotto stesso a comunicare.
Faccio un esempio: quando abbiamo pensato a SUCCO DI ROMA (kit per scarpetta all’amatriciana – vedi foto), all’inizio mettevamo le istruzioni per l’uso, giocando con grafica e illustrazioni. Con il passare del tempo abbiamo iniziato a domandarci cosa sarebbe successo se avessimo deciso di non fornire più alcuna istruzione e abbiamo riflettuto sul fatto che il modo in cui utilizzare il kit doveva essere immediatamente chiaro, anche grazie a come era stato confezionato, e alla fine così è stato: abbiamo eliminato le istruzioni e assemblato il SUCCO DI ROMA, come la conoscete oggi.
Facile, immediato e soprattutto buono…
DENTRO LA CUCINA
Va bene il “fuori”, ma cosa c’è dentro la nostra cucina?
Non seguiamo dei veri e propri dogmi. Ora magari rischieremo di farci dei nemici, ma negli ultimi tempi si parla sempre più spesso di km0 e di territorialità, e questo è un bene: “fare con ciò che si ha vicino, prendere dalla nostra terra” è un messaggio giustissimo ma è anche uno di quei concetti che, se comunicati nella maniera sbagliata, rischia di diventare un’ossessione.
Non facciamolo diventare un limite. Nel 2011 infatti è difficile pensare alla cucina senza pensare alle contaminazioni: sarebbe come negare tutto quello che è stato fatto negli ultimi anni. Molti chef italiani di fama mondiale hanno raggiunto il successo anche grazie a tecniche e ingredienti che provengono dall’altra parte del mondo.
Ma non bisogna per forza pensare ai grandi chef stellati. Noi viviamo a Roma nel quartiere San Lorenzo, a due passi dal mercato più multietnico della capitale, quello di Piazza Vittorio: spesso e volentieri lì passiamo intere mattinate. A Piazza Vittorio trovi davvero di tutto: il banco di verdure bio gestito dalla signora che abita a due passi da Roma affianco al ragazzo indiano che ti consiglia come miscelare un curry, verdure o tuberi mai visti.
La nostra cucina è questo. Ti può capitare di mangiare pasta e patate, pollo masala e chapati fatto al momento, oppure un controfiletto cotto al bbq e bok choy saltato nel wok.
Operazioni di mash up e cut up sono innate nel nostro modo di creare. Anche questa è integrazione, lo fanno in tutto il mondo.
Perché limitarsi?
THE FOODERS
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