Il panino al lampredotto

Il panino al lampredotto

Non è vero lampredotto se il panino, prima di abbracciarlo, non fa un tuffo nel sughetto. Per poi consumarlo voracemente, correndo con i morsi dietro l’intingolo che cola, diluito (se proprio vogliamo completare il misfatto)  in un buon gotto di vino rosso. E che pro’ vi faccia.

A Firenze, che fu capitale d’Italia dopo l’unificazione (dal 1965 al 1971), culla del Rinascimento infine patrimonio dell’umanità per l’Unesco, non è raro inciampare in casottini mobili (una sorta di roulotte golosa) a lato delle strade. In periferia e nel centro storico, dove il vivere quotidiano fa bisboccia con antiche opere d’arte e si rifugia sovente in un canto per far pace con i sapori che furono.

Tanto che ci pare tornino a fiorir come margherite, accanto ai soliti di sempre: quello alla Loggia del Porcellino, da cui si va a mendicar fortuna toccando il muso rustico della fontana, che poi un porcello non è, bensì un cinghiale, riproduzione dell’originale di Pietro Tacca conservato agli Uffizi.

Un altro in via de’ Macci e ancora: piazza Artom, via Gioberti, via Maso Finiguerra, via Aretina, piazzale di Porta Romana. In realtà è un buon momento per il caro vecchio semelle.

“Piace a tutti, bambini inclusi, se lo provi non lo lasci più” commenta un trippaio dall’alto del suo “banchino”, lavorando di taglio e rinforzando di pepe.



“Con il benessere negli anni Sessanta sono arrivati i filetti e le bracioline. Il denaro ha zittito la tradizione, insieme a ciò che ricordava momenti in cui c’era da tirar la cinghia” dice Leonardo Torrini, trippaio in piazza del Bandino a Gavinana (quartiere meridionale della città dei Medici, costruito sulla sponda sinistra dell’Arno). Perché il nostro è un autentico cibo di strada, di quelli intrisi di storie vere: patite, sudate, piante ma anche cantate e rise a crepapelle.

Il lampredotto sta a Firenze come Leonardo alla Gioconda, come Dante a Beatrice, unico ancora a raccontare una città che se l’annusi nelle pieghe profuma di sedano, carota, cipolla, pomodoro e un vago sentore di chiodo di garofano (gli ingredienti del brodo vegetale in cui viene bollita la quarta parte dello stomaco del manzo).

Piatto semplice, acquistabile per pochi centesimi già nel Quattrocento sulla strada. Oggi come allora lo mangi in purezza oppure aggiunto di salsa verde e magari di una spruzzatina di condimento piccante, ma sempre nel panino cavo, aperto in due: farcito e grondante. Intonso nel cuore, delicato nel sapore, consistente al dente. Provare per credere.
Curiosi? Se ne parlerà e assaggerà domenica 15 maggio ad Arezzo (piazza della Badia, ore 10 – 20) a “Cibo di strada show” , evento che chiama a raccolta gli antenati del moderno take away. E per far conto pari con il sapere: una tavola rotonda su cibo e salute con chef, medici e nutrizionisti. Per spezzare l’ennesima lancia a favore del buon cibo di strada.

 

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