Il taglio del prosciutto
Il prosciutto, in Italia, è quello crudo. Nel senso comune è così, tanto che su questo sono nate diverse campagne pubblicitarie per distinguere un prodotto dall’altro. E sulla sua qualità – oltre alla più conosciuta distinzione tra i due grandi consorzi produttori (Parma e San Daniele) – spesso si adottano definizioni banali e poco utili a misurarne davvero qualità e caratteristiche. Prosciutto “dolce”, “di montagna” sono solo un paio tra le più diffuse e più ascoltabili al banco salumeria di un qualsiasi negozio nostrano. Ma il taglio? Di questo si parla meno e comunque sempre troppo poco.
Eppure nella qualità del taglio c’è molto del risultato gustativo, non quanto nella qualità della carne di provenienza (questo è ovvio), ma sicuramente più di quanto si possa pensare. La mia personale esperienza porta a dire che il NordEst sia più sensibile al problema di quanto non lo sia l’Emilia e che tradizionalmente in Alpe Adria il prosciutto venga tagliato sottile. La qual cosa fa bene al gusto soprattutto quando il prosciutto viene consumato da solo o su un grissino o sfoglia di pane.
Quando però si farcisce un panino il discorso cambia. Fermo restando che il taglio “a mano” è una delle cose più complicate che ci siano (perciò non è affatto preferibile tout-court ma va operato solo da mani davvero esperte) è altrettanto vero che una fetta di prosciutto in un panino deve aver il giusto spessore. Anche in funzione degli altri ingredienti. Talvolta anche il millimetro non è da disdegnare.
Ma in quel caso mai sovrapporne due! Piuttosto provare ad aggiungere del carciofo crudo tagliato a fettine sottili e qualche goccia di olio extravergine d’oliva dal sapore marcato. Umbro o toscano può andare. E che il pane sia fresco e croccante, mi raccomando.