Libertà di pensiero chiusa in una francesina
Livorno è città toscana anarchica, allergica alle regole e propensa a buttare il cuore oltre la barricata. A prescindere. Giovanni Ansaldo, controverso intellettuale del secolo scorso, direttore del quotidiano “Il Telegrafo” di Galeazzo Ciano, nel ’36 definiva i suoi abitanti: “tutti o in maggioranza dell’idea. Di quella che di secolo in secolo, di generazione in generazione, è apparsa la più audace, la più ribella, la più estrema”.
E che una pennellata di Curzio Malaparte identifica nei pescatori che scivolano lungo i muri della Venezia quartiere intriso di calore genuino, nei primi giorni di agosto palcoscenico di un suggestivo festival in cui cibo e cultura vanno a braccetto: “come pesci vivi, guizzano negli anditi scuri, accendono bagliori di scaglie ai davanzali dove s’affacciano donne e ragazze. Belle le mie triglie, belli i miei calamari, belli i miei cefali…”. Bhè, una Livorno d’altri tempi, ma nella sostanza ancora molto vicina a quel fare verace e schietto della sua gente e dei suoi piatti. Carichi di una materia prima che profuma di mare, tutta intrisa di pomodoro giunto insieme ai Marrani in fuga dalla Spagna.
Ecco. Tenendo presente questo quadro, metti un giorno di passare dal mercato di piazza Cavallotti, il più rinomato in città, brulicante di sporte, carrellini e massaie. Poco lontano c’è quello coperto, con i banchi alimentari, appena ristrutturato nell’edificio delle Vettovaglie in cui vetri e ferro convivono nei luoghi dello shopping gastronomico datato XIX secolo.
Vedi Les Halles a Parigi, il Greenwich di Londra, il Mercato Centrale di Firenze…… Davanti al Mercato delle Vettovaglie apre senza insegna uno storico della “torta di ceci”, street food ante litteram: Gagarin. La scritta rossa con la bomboletta spray ci avverte che siamo arrivati. La mitica “5 e 5” (cinque centesimi di torta di ceci e 5 di francesina o di focaccia) oggi costa un po’ di più, ma resta sempre appannaggio di uno spuntino sostanzioso e adatto a tutte le tasche.
In piazza Cavallotti allunghiamo il collo oltre i banchi di frutta e verdura, al civico 13 ci sono i panini farciti della Barrocciaia. Dentro aria di mare e di chiacchiere rese ancor più liquide da un buon gotto di vino scivolato giù dal fiasco come fosse acqua. Insieme vi servono panini a piacimento, ma il più gettonato è quello a fantasia di Benedetto e Tommaso.
Effige del locale una corpulenta signora che incita ilsuocavallo a trascinarsi dietro un carro di ognibendiddio. Di tutto di più sarà infilato nella vostra mezza frusta, con o senza salsa verde. La seconda opzione vi viene lasciata insieme alla domanda: prosciutto o carne? Dopodiché via libera a fettine sottili di cipolle sott’aceto, pomodorini secchi, carciofi, borlotti, fagiolini verdi lessati, melanzane grigliate.
In un melting pot di sapori che tanto ricordano la Livorno dei Medici, porto franco di razze e idee.