Che spreco, questo spreco!
Spreco, spreco, spreco. Tanto spreco ai nostri giorni. Alimentare ma non solo. In particolare nei paesi industrializzati. I nostri. Ci sentiamo in qualche modo “colpevoli” di tale comportamento? A pensarci bene, e ad essere sinceri, sì. E allora forse sarebbe bene fare qualcosa, partendo in primis da noi stessi. Dai nostri comportamenti, quelli quotidiani; dalle nostre abitudini, di consumo ma anche di ri-uso; dai nostri atteggiamenti; dalla nostra sensibilità verso un tema, quello dello spreco alimentare, che ci riguarda da vicino. E di cui siamo i protagonisti. Senza andare troppo lontano e fare richieste generiche, che solitamente richiedono tempi lunghi e attese più o meno certe, sarebbe meglio partire da noi.
Ci siamo annotati in agenda una data importante, o meglio significativa: giovedì 19 gennaio 2012 al Parlamento Europeo di Strasburgo si parlerà e si discuterà di spreco alimentare. Oggetto del contendere, o meglio del dibattere, il progetto di relazione dell’on.le Salvatore Caronna, tanto semplice quanto indicativo nel suo titolo: “evitare lo spreco di alimenti: strategie per migliorare l’efficienza della catena alimentare nell’UE”.
Innanzitutto, cosa si intende per spreco alimentare? “È l’insieme dei prodotti alimentari scartati dalla catena agroalimentare per ragioni economiche o estetiche (si badi bene, estetiche, ndr) o per prossimità della scadenza di consumo, ma ancora perfettamente commestibili e potenzialmente destinabili al consumo umano e che, in assenza di un possibile uso alternativo, sono destinati ad essere eliminati e smaltiti producendo esternalità negative […]”. E questo è già un buon (chiaro) punto di partenza.
Sprechiamo, ma quanto? Partendo da alcune semplici constatazioni e dati incontrovertibili, sia della Commissione europea (Commissione per l’agricoltura e lo sviluppo rurale, relazione A7-0000/2011) che della FAO, emerge che lo spreco alimentare è un dato di fatto. Dappertutto (dove più, dove meno), ma soprattutto nei paesi industrializzati. Europa e Usa davanti a tutti in questa particolare, seppur negativa, classifica. Ogni anno, secondo la relazione dell’on.le Carozza, una crescente quantità di cibo sano e commestibile – fino al 50% – si perde lungo tutti gli anelli della catena agroalimentare. Diventando così rifiuto. Ancora più nel dettaglio (per farci del male), secondo uno studio della FAO, europei e nordamericani sprecano a testa tra i 95 e i 115 kg di cibo all’anno, contro i 6/11 kg dell’Africa sub sahariana. In UE, 89 milioni di tonnellate di rifiuti di rifiuti alimentari all’anno.
Lo spreco è una filiera parallela a quella produttiva. E dunque si spreca – in modo diverso – nei campi agricoli, nelle industrie di trasformazione, nelle imprese di distribuzione, ma anche nelle case dei consumatori. E questo dà luogo ad una lunga serie di esternalità negative: ambientali (più CO2 nell’aria), costi per lo smaltimenti dei rifiuti (maggiori), guadagni delle imprese (minori). Senza dimenticare che l’idea dello spreco alimentare “fa a cazzotti” (nel vero senso della parola) con il problema, sempre più forte, della fame nel mondo. Sembra – lo è – un cane che si morde la coda.
Sprechiamo, ma perché? Perché siamo consumisti? Perché quello che abbiamo oggi non va più bene domani? Sicuramente sì, ma non solo. E in che modo sprechiamo? Se a monte (in agricoltura) ci sono perdite nella raccolta e nello stoccaggio, a valle (il consumatore) ci sono cattive abitudini nell’acquisto e nell’utilizzo dei prodotti alimentari, passando per condizioni poco sicure nella fase di trasporto e in errori in fase di imballaggio. E se nei paesi industrializzati lo spreco si concentra nelle ultime fasi, l’opposto di registra per i paesi in via di sviluppo, a causa della mancanza di tecniche agricole avanzate o sistemi ed infrastrutture di trasporto efficienti.
Che fare per non sprecare più, o almeno sprecare di meno? Una risposta adeguata richiede cambiamenti a tutti i livelli (di filiera). Migliore informazione e più sensibilizzazione potrebbero rappresentare un primo (importante) passo verso comportamenti più virtuosi da parte di noi consumatori. Dall’altro lato è innegabile che un cambiamento debba avvenire ad un livello più macro: di istituzioni, di settore, ecc.
Insomma, l’attenzione verso questo tema è sempre (più) alta. Da vedere se a questa sensibilità corrisponderà in futuro una reazione adeguata.
Noi ci impegniamo fin da oggi. Non è una minaccia, è una promessa!