Un dolce Natale
Artigianato gastronomico, botteghe, qualità sono un diktat cui non rinunciare per fare bella figura con i commensali e gli amici. Perché portare in dono un torrone con miele biologico, un panettone figlio di un lievito madre senza inganni e… le immancabili bollicine quest’anno più che mai sarà il regalo perfetto. Utile, gradito, festoso.
Brinderemo con il panettone, uscito da un esperimento bislacco di Toni (servitore di Ludovico il Moro che a Milano inventò per caso il dolce natalizio: Pan de’ Toni), con il pandoro che vanta natali a Verona, anche se di radici viennesi.
E poi la girandola di dolci tradizionali regionali: in Toscana il panforte (che si chiama come la regina Margherita di Savoia, in visita a Siena a fine ‘800), i cavallucci, i ricciarelli (che entro primavera riceveranno l’Igp), il panpepato (versione d’azzardo del panforte, speziato da un trito di pepe, chiodi di garofano, noce moscata e cannella) più o meno affinato per assecondare i gusti nel tempo. “Da anni esportiamo oltre i confini nazionali ricciarelli e panpepato laddove si sono stabilite comunità italiane – spiega Corsino Corsini, titolare della storica Fiore di Siena – Li spediamo in Europa centrale, nelle Americhe, negli ultimi tempi persino in Cina”. La Fiore è un’azienda che della tradizione fa un vessillo, dal cavalluccio (trastullo molto povero, un tempo lasciato ad ingentilire di fronte al camino acceso) alle Copate (leggeri dischi di pasta di torrone racchiusi tra due ostie).
Ma il panettone non è solo lombardo. L’artigianato di qualità nei dolci a pasta lievitata si sta espandendo. Nella toscana Castel Del Piano, in provincia di Grosseto, Corsini elabora classici e rivisitazioni in versione castagne dell’Amiata, amarena o albicocca. Al “Cantuccio di Federigo” a San Miniato (Pisa) impiegano una materia prima vip: gocce di cioccolato Amedei, etichette millesimate, mandorle d’Avola, burro Beppino Occelli, scorze di arance e cedro di una piccola azienda di Savona.
Proposte intriganti anche “Al Dolce Forno” di Quarrata (Pistoia) dove i fratelli Lunardi mettono al servizio della propria clientela fiuto e curiosità, ogni anno espressi in nuove creature come il Massimilian al Vinsanto (bagnato da un blend di cinque Vinsanto, il più giovane dei quali ha oltre 10 anni d’invecchiamento) e il Masso altro dolce a pasta lievitata talmente ricco d’ingredienti (uvetta, arance tardive calabresi e limoni biologici canditi, noci campane, nocciola Tonda Gentile delle Langhe, burro belga di latteria, farine dall’antico mulino a pietra Grifoni del Pratomagno) che nonostante le quaranta ore di lievitazione non riesce a crescere.
Altri ottimi panettoni, dopo la bresciana Pasticceria Veneto di Iginio Massari (grande maestro in fatto di lieviti), un altro gigante è Pepe a Sant’Egidio del Monte Albino, in provincia di Salerno. Affatto paradossale, come dicevamo poc’anzi, ormai il dolce lombardo farcito di uvette e canditi è stato sdoganato anche al sud.
Dopo Pepe altro esempio d’eccellenza è La Patisserie a San Gennarello di Ottaviano, in provincia di Napoli. Ancora indirizzi sicuri sono Perbellini a Bovolone (Vr) dove il pandoro vale il viaggio, Converso nella piemontese Bra, noto per la variante con uvette ammorbidite nel Moscato. Curiosa e assolutamente da provare è la versione arricchita di birra a metodologia Champenoise prodotta artigianalmene in casa Zago (il birrificio messo in piedi in provincia di Pordenone da Mario Chiaradia, con bottiglie che lui stesso definisce “vive”, non pastorizzate e ricche di lieviti). Non dimentichiamo il vicentino Loison che il dolce natalizio lo confeziona ai cereali, al caffè, all’amaretto. E poi, e poi …
Che dire poi dei torroni? Il discorso si fa lungo, allora ne citiamo uno per tutti: Scaldaferro di Dolo (Ve) che ricorre a cinque mieli, tra cui il raro salato della barena veneziana per un risultato da capogiro. Due le varianti: morbido e friabile.
Chiudiamo con un regalo: la ricetta dei ricciarelli. Buon Natale!
RICCIARELLI di Massimiliano Lunardi, “Al Dolce Forno Lunardi” di Quarrata.
Ingredienti: prima parte (450 gr zucchero, 650 gr mandorle dolci già pelate, 100 gr scorza di arancio candito, 30 gr mandorle amare); seconda parte (150 gr zucchero, 50 gr acqua, 1 bacca vaniglia incisa longitudinalmente), olio extravergine d’oliva per il piano; terza parte (1-2 albumi d’uovo, 1 pizzico carbonato di ammonio); quarta parte (zucchero a velo qb, ostie).
Tritare grossolanamente in un mortaio di marmo gli ingredienti del primo gruppo (se le mandorle hanno la buccia toglierla aiutandosi con un panno dopo averle sbollentate in acqua per 2 minuti). Preparare uno sciroppo denso con il secondo gruppo di ingredienti, portando la cottura alla consistenza del “filo” (immergendo velocemente il dito indice nello sciroppo e fregandolo con il pollice si forma un filo, per chi possiede un termometro basta raggiungere i 106°-107°).
Togliere la vaniglia dallo sciroppo e aggiungervi gli ingredienti del mortaio, miscelando bene. Stendere su un piano di marmo (o vassoio da cucina) leggermente unto con olio extravergine di oliva e fare freddare una notte (8-10 ore) coperto con un canovaccio inumidito perché non asciughi troppo.
Triturare finemente l’impasto nel mortaio (sconsiglio il cutter perché le lame tendono a far fuoriuscire l’olio delle mandorle impedendo la raffinazione, diversamente far riposare la preparazione in freezer per 15 minuti).
Impastare con gli albumi d’uovo fino a consistenza modellabile, prestando attenzione al carbonato (lievito secco, alleggerisce i ricciarelli) che rischia di vanificare il risultato se eccedente. Poggiare i fogli di ostia nei vassoi da forno.
Formare dei bastoni con l’impasto aiutandosi con lo zucchero a velo, tagliare per obliquo delle fette di circa 2 cm ed adagiale nelle teglie, quindi spolverare con zucchero a velo. Cuocere il tutto a circa 210° per pochi minuti (appena prendono colore lateralmente sono pronti, la cottura prolungata asciuga i ricciarelli, impoverendoli).