Acciughe in carrozza: si parte!
“I pesci dei poveri erano il segno della povertà – scrive in “La civiltà della forchetta” Giovanni Rebora, storico dell’alimentazione – e della povertà ci si vergogna”. Ecco perché finché acciughe, sugarelli, naselli, aguglie, sgombri, sardine, zerri sono stati sinonimo di vita misera, hanno conosciuto solo i tavolacci delle mense plebee.
I signori mangiavano branzini, dentici, orate. Poi il pregiudizio è venuto meno: “Ora i ricchi borghesi le adorano – conclude Rebora – e cucinano le acciughe nella peggiore delle maniere, come credono che le cucinassero i pescatori”.
Della serie: semplicità è ricchezza ☺
Ma non tutto è perduto. Pensiamo alla colatura di alici di Cetara perfetta a condire uno spaghetto veloce (la trovate in commercio bell’e pronta“qui”), alle acciughe sotto sale del Mar Ligure , a quelle sott’olio insaporite con origano e aglio, oppure prezzemolo aglio e peperoncino.
Per non parlare della versione fritta, ottima anche come finger food ad accompagnare un bicchiere di bianco che ne ripulisca l’untuosità (ma se ben fritta resterà asciutta). Un tempo, quando nei giorni di festa era permessa maggior sostanza, l’acciuga s’infarinava, si passava nell’uovo sbattuto (qualcuno l’infarinava una seconda volta), quindi si gettava nell’olio ben caldo.
Meglio se sfilettata, aperta e tenuta unita per la coda. E visto che la compagnia non si rifiuta mai, oggi come ieri, il piatto viene ancor più felice aggiungendo qualche pescetto saporito. Che ne so: triglie, sarde, acquadelle, cicerelli, zanchette, busbane. Tanto buoni quanto simpatici sono i loro nomi.
Altro vecchio modo di gustare l’acciuga è sfilettata e passata in padella con olio, aglio e prezzemolo tritati, più una spruzzatina di aceto e qualche goccia di limone a cottura ultimata, con generoso giro di pane a fare da cucchiaio.
E che dire marinate in aceto e sale, con aggiunta di peperoncino, olio, cipolla e giù a crudo, a scaldare l’ugola, oppure appena passate in forno su un letto di patate, un giro d’olio, aglio, prezzemolo, aggiustatina di sale e pepe. Povere ma delicate le seconde, povere e fiere le prime.
Engraulis encrasicolus è nota come acciuga dal genovese “anciùa”, piccolo pesce dal dorso bluastro e fianchi argentei (ecco perché rientra nella famiglia degli “azzurri”, ricchi in Omega3), in Liguria la chiamano anche “pan do ma” (pane del mare perché principale nutrimento dei predatori).
Il suo momento è adesso. Noi vi consigliamo di provarne a casa la versione proposta da un’osteria di Pietrasanta che va alla grande negli ultimi anni. Mai assaggiata la mozzarella in carrozza? Filippo Di Bartola, giovane oste affezionato alla tradizione e ai prodotti di qualità, ci aggiunge un filetto di acciuga: la marcia in più per assicurarsi l’applauso degli amici in una cenetta informale per inaugurare l’estate.
MOZZARELLA IN CARROZZA AL MODO DI FILIPPO, ristorante “Filippo”, Pietrasanta (Lu)
Ingredienti per 4-6 persone: 1 pane in cassetta, 250 gr di mozzarella di bufala, ½ lt di latte, 3 uova, farina, pangrattato, filetti di acciuga, olio extravergine d’oliva, sale e pepe.
Affettare il pane eliminando la crosta, dividere le fette a metà ottenendo due triangoli o due quadrati. Tagliare la mozzarella e farla ben scolare. Nel frattempo lavorare le uova con sale e pepe. Bagnare il pane velocemente con il latte, farcire con la mozzarella e un filetto di acciuga, intingendo i bordi nella farina. Immergere il fagottino nell’uovo e infine passarlo nel pangrattato facendolo aderire bene.
Mettere sul fuoco una padella con abbondante olio e appena è ben caldo friggere i fagottini da ambo le parti per pochi minuti. Servirli nel piatto con carta gialla assorbente.
E vai la mozzarella in carrozza è fatta….. sarà ancora più gustosa se accompagnata da un vinello bianco fresco, magari un buon Pigato di Massaretta.